Il Sospetto regia di Thomas Vinterberg
DrammaticoIn seguito a una turbolenta separazione Lucas (Mads Mikkelsen) sta finalmente riuscendo a ricominciare da zero, dedicandosi alla sua carriera di maestro d’asilo e al tentativo di riallacciare i rapporti con il figlio adolescente Marcus. Tuttavia rimarrà presto vittima di maldicenze e calunnie scaturite da una bugia raccontata da Klara, una sua giovanissima alunna nonché figlia del suo migliore amico, che lo costringeranno a combattere per la difesa della propria rispettabilità contro l’intera cittadina.
Portare sullo schermo vicende che riguardano violenze sui bambini risulta essere sempre un arduo compito, a maggior ragione se non sono questi ultimi a costituire la parte lesa della storia. Ed è proprio da qui che prende le mosse Il sospetto, ultima fatica di Thomas Vinterberg, co-fondatore insieme al connazionale Lars von Trier del noto movimento Dogma 95, e ad oggi pluripremiato regista di fama internazionale.
Il tema della pedofilia, ne Il sospetto, viene infatti trattato in maniera differente rispetto alla consuetudine, ribaltando l’usuale svolgersi degli eventi. È una bambina “l’uomo nero” della situazione, mentre Lucas, l’adulto, è in questo caso una vittima degli avvenimenti. “I bambini dicono sempre la verità e vanno ascoltati”, viene ripetuto come un mantra dalla maestra d’asilo a cui Klara, volendo attuare una piccola vendetta nei confronti del maestro che l’aveva appena redarguita, confessa la falsa molestia. Come si può non credere alle parole di una bambina quando ci si trova di fronte a un fatto di tale gravità?
Il sospetto (il cui titolo originale significa La caccia, in evidente riferimento sia all’arte venatoria, che ricopre una parte importante all’interno del film, sia alla caccia alle streghe di cui Lucas sarà vittima) avrebbe tutte le carte in regola per ottenere ottimi riconoscimenti da ogni punto di vista lo si voglia considerare: regista (e sceneggiatori) d’eccezione, ottimi attori (Mikkelsen riesce addirittura a vincere come migliore attore alla 65esima edizione del Festival di Cannes, proprio per questa sua interpretazione), ambientazioni scandinave e nordiche estremamente suggestive, esaltate magistralmente dall’opera del direttore della fotografia, Charlotte Bruus Christensen. Purtroppo però non riesce a convincere, sia a causa della banalità della linearità della vicenda, ma soprattutto della conclusione ottimistica e scontata. Inoltre quello che poteva essere però un grande pregio del film, ossia l’instillazione nello spettatore del sospetto che una violenza abbia effettivamente avuto luogo, non viene tuttavia affatto sfruttato (e nemmeno considerato) da Vinterberg, che opta piuttosto per una soluzione senza rischi, dando rassicurando lo spettatore sull’innocenza del protagonista.
Fortunatamente la bravura di Mikkelsen permette al regista di concentrarsi invece sul dramma interiore di Lucas, sulla sua incapacità di gestire la situazione lasciandosi trascinare dagli eventi senza nemmeno riuscire a difendersi, verbalmente e fisicamente, dalle accuse che gli vengono rivolte. Lucas, che stando alle parole del regista è “il ritratto del maschio scandinavo moderno: affettuoso, amichevole, disponibile e umile (…) fa tutto quello che gli chiedono gli altri”, è il vero perno del film, attorno cui tutti gli altri elementi (la presunta violenza, in primis) divengono collaterali e quasi obsoleti. Indicativa in questo senso la commovente sequenza in cui partecipiamo alla totale disperazione dell’ex maestro d’asilo, che la notte di Natale si reca in chiesa ad assistere alla consueta recita natalizia dell’asilo a cui aveva lavorato prima di essere accusato di pedofilia, lasciandosi trasportare non tanto dalla violenza, come si potrebbe credere, quanto dalle lacrime. Ma siamo sicuri che basti un grande attore a trasformare un melodramma cinematografico in capolavoro?
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