Banditi A Milano regia di Carlo Lizzani
DrammaticoIl Commissario Basevi (Tomas Milian) ripercorre in un'intervista documentario i cambiamenti della malavita nella città di Milano: il taglieggiamento ai proprietari dei locali notturni e delle case da gioco clandestine, l'estorsione, il diverso e più violento comportamento dei criminali, la reticenza e l'omertà di chi subisce le prepotenze del racket, il nuovo reclutamento nella prostituzione e la spietatezza verso chi cerca di sfuggirne.
Il personaggio del Commissario fa da filo conduttore attraverso il quale il regista, mediante l'uso di flashback, ricostruisce gli eventi che portarono la cittadinanza ad esplodere dinnanzi all'estrema violenza seguita alla rapina: la costituzione della banda, nata con l'idea di finanziare una rivoluzione proletaria ed estranea alla malavita, il reperimento delle armi, le modalità di esecuzione del disegno criminoso, la ricognizione alla banca e gli imprevisti che portarono all'identificazione dell'automobile in fuga, l'inseguimento e la sparatoria per le vie di Milano ed infine la cattura e l'identificazione dei quattro componenti della banda.
Carlo Lizzani è uno di quegli artigiani del cinema italiano che purtroppo non troveranno mai il giusto riconoscimento che dovrebbero avere. Il discorso vale per lui come per i vari Damiano Damiani, Luciano Salce, Steno, Lucio Fulci, Sergio Corbucci e via dicendo. Tutta gente che tra anni ’60 e ’70 ha saputo districarsi tra i generi più diversi, attraversando cinema politico, spaghetti-western, dramma, poliziesco, commedia, ecc.
Lizzani in realtà marca una certa differenza anagrafica rispetto ai nomi sopra citati, avendo cominciato l’esperienza cinematografica già in epoca neorealista, sceneggiando per autori come De Santis, Lattuada, Rossellini e realizzando in prima persona un’opera notevole come Achtung! Banditi! (1951). La matrice neorealista nella sua volontà documentaristica diventa pienamente visibile in questo Banditi a Milano, ispirato a fatti realmente accaduti nell’autunno del 1967 da parte della banda Cavallero.
L’operazione scelta dal regista è quindi quella di alternare il formato documentario (che apre l’opera presentando in linee generali la situazione malavitosa milanese del periodo) a quello fiction-narrativo vero e proprio, nel quale il livello si alza notevolmente grazie soprattutto ad un’eccellente prova attoriale di Gian Maria Volonté, che impersonando il capo dei banditi si segnala conquistando un Globo d'oro dell'Associazione Stampa Estera e una Grolla d'oro come migliore attore.
Ma è il livello complessivo dell’opera a convincere, grazie al ritmo serrato degli eventi e alla capacità di gestire una tensione drammatica e un livello d’azione perfetti, che rendono il film un poliziesco degno di stima e considerazione internazionale, diventando un punto di riferimento nobile per il successivo filone “poliziottesco”, che ne riprenderà alcuni topos (primo fra tutti la serie di inseguimenti tra automobili) riuscendo però raramente a mantenere l’equilibrio emotivo e tagliente che caratterizza l’opera di Lizzani.
Da segnalare infine l’apoliticità generica (per questo lo si può avvicinare al coetaneo Gangster Story) di un’opera che ciò nonostante lancia qualche suggestione di “sovversione proletaria” facendo emergere la provenienza operaia e “di partito” del protagonista Piero, deciso a farsi giustizia da solo per non far la fine degli altri oppressi e sfruttati. Un individualismo miope che però trasnfigura letteralmente il personaggio, trasformandolo in un essere cinico e amorale.
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