C Era Una Volta Il West regia di Sergio Leone
WesternJim (Claudia Cardinale) arriva in città in tempo per trovare il cadavere del marito appena sposato. Il mandante dell'omicidio (Gabrile Ferzetti), ricco ferroviere, lascia credere che gli assasini siano legati alla banda di Cheyenne (Jason Robards). Sulle tracce del vero sicario (Henry Fonda) arriva il misterioso Armonica (Charles Bronson). Le cinque storie si incrociano in questo crepuscolo del west, tra l'avanzata della ferrovia e la polvere di un mondo di pistoleri.
Dopo duecento tentativi di imitazione ritorna Sergio Leone
Il padre nobile di un genere chiude i conti con un filone in cui non si riconosce, anche se da capostipite. Lo slogan che annuncia l'uscita del film testimonia lo sdegno verso gli spaghetti western, per lui troppo inflazionati e al di fuori dello spirito poetico-antico a cui sarà sempre legato. Un'epoca è finita, come per i protagonisti del film si tratta di comporre un'ultima epica elegia. I tempi si dilatano, è un addio, la dimensione atemporale si fa imponente e non si tratta più dello spazio anonimo legato alla Trilogia del dollaro: siamo in una cattedrale, immensa, dove lo spettatore si sente schiacciato con gli eroi destinati all'oblio, incastrati dall'inarrestabile avanzare della ferrovia. Il potere del denaro si impone, con un borghese privo di gambe e di nobiltà. Una nobiltà che nel far west di Leone è un elemento di conquista, come nell'antica Grecia. Non si tratta di casate dal nobile lignaggio che vengono soppiantate dalla Rivoluzione Francese. È un modello culturale che cede il passo, un mondo crudele che si fa da parte, lasciando passare il progresso, con cui migliora la qualità della vita di molti e sparisce al contempo la possibilità di dimostrare il proprio eroismo.
La Trilogia si è chiusa con un duello a tre, dopo aver portato sulla scena un singolo eroe e una coppia di cavalieri pallidi. Si salta di uno, i protagonisti diventano cinque e per la prima volta c'è una donna a dividersi lo schermo con gli altri, da pari a pari.
Cambia parzialmente di mano la scrittura del film, con un preludio egemonizzato da Dario Argento e Bernardo Bertolucci. Per Leone siamo però lontani da quello che cerca. Consapevole che “il mondo del cinema sta cambiando” (D'Argento) cercherà in Sergio Donati e Luciano Vincenzoni elementi di sceneggiatura più propri.
Dopo una ventina di minuti ci si accorge del cambio di marcia, però il proemio funziona, ricordando i passaggi dei capolavori omerici di presentazione dell'eroe, in questo caso fortunatamente non interpretato da Eastwood. A Clint l'offerta era stata fatta, sia come protagonista che come comparsa nel cammeo iniziale: poco da fare, ormai il "cavaliere senza nome" aveva imboccato la strada degli USA. Così tocca a Charles Bronson, un caratterista poco abituato al ruolo di protagonista, per il quale la Paramount avanza molte perplessità (sarà l'insistenza del regista a garantire l'ingaggio). Per Leone la vendetta è una virtù e il volto di Charles è quello ideale, perché da l'idea di uno capace di venire a prenderti “anche se ti nascondi in Groenlandia”. La vendetta è un sentimento primordiale, legato al mondo antico e a quello dell'opera. Accompagna i morti e gli assassini. Così è anche per questa titanica impresa e la scelta del protagonista risulta perfetta.
Al fianco di Bronson c'è un attore di formazione fordiana, Henry Fonda. Si presenta sul set agghindato come un pistolero, accompagnato da basettoni e altri artifici che Leone non vuole. Sullo schermo deve essere il volto buono dei presidenti USA a vestire i panni del cattivo.
Jason Robards si ritrova schiacciato tra i due, però riesce a conquistarsi uno spazio vitale, nonostante si fosse presentato ubriaco al suo primo provino. La storia di Robard è legata al cinema di Peckinpah, un percorso diverso dai due già citati.
Una scelta coraggiosa viene fatta anche per Claudia Cardinale, per la quale c'è il rifiuto a Sophia Loren (e ai soldi di Carlo Ponti).
Si va sul classico e il colossale, lasciando il clima da spaghetti che tanto aveva fatto innamorare il pubblico internazionale. Insistenti sono i riferimenti al western americano, alla Nouvelle Vogue del mondo intellettuale e al noir. Ci sarebbe da perdere molte ore e parole per concludere un esaustivo elenco di citazioni. Sono elementi fondamentali, indispensabili per cercare di portare avanti quella che è una riflessione conclusiva sul genere, accantonando in secondo piano l'aspetto politico (meglio affrontato nel successivo Giù la testa) e affrontando i demoni di un passato che non esiste più.
Per l'occasione alcune scene, per la prima volta, vengono girate nella Monument Valley di John Ford. L'ambientazione è comunque quella di Leone, anche se si nota il granturco emiliano voluto da Bertolucci all'inizio del film.
La lavorazione trova qualche intoppo, anche per il suicidio di Al Mulock, che però pare non aver scosso troppo il regista, se non nell'immediato, per la preoccupazione legata al film e ai suoi vestiti. Testimonianze vogliono Leone impegnato a urlare “recuperate il costume!”.
Morricone non aveva convinto all'inizio. Le prime composizioni non soddisfano e gli viene indicata la disneyana Lilli e il Vagabondo come pellicola di riferimento. Il risultato è comunque quello cui ha abituato il Maestro, una musica capace di essere poesia nella poesia.
Molto altro ci sarebbe da dire, dalla presenza di Fabio Testi alla collaborazione tra la Euro International Films e la Paramount, che per alcuni aprirà le porte del cinema italiano al livello internazionale. I capolavori sono però fatti per essere raccontati, così ognuno capisce cosa più ha colpito l'altro.
La passione è del regista, l'amore dello spettatore e sarà il medio-lungo periodo a dare il giusto riconoscimento a questo film, deludente a livello economico e di critica in prima battuta. Negli USA sarà proiettata una versione mancante di venti minuti.
È il '68, non si ha ancora chiaro quello che aspetta il mondo occidentale.
È un atto di passione, un canto del cigno: non si può far altro che innamorarsi, cogliendo quella sfumatura che saprà conquistare chi non si sente a suo agio nel nuovo millennio.
È una storia di “soli uomini”, di persone che pongono il proprio onore al centro dell'essere, rifiutando le logiche di mercato. Una storia di una razza che sarà per sempre, anche se in estinzione.
Tweet