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7/10

La Damigella D Onore regia di Claude Chabrol

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Philippe conduce una vita tranquilla. Lavora per un'impresa edile e vive con le due sorelle e la madre. Ma la sua tranquillità è compromessa dal matrimonio della sorella Sophie. La conoscenza con la damigella Senta lo coinvolge in una storia d'amore che lo mette alla prova...

 

Innamorarsi di una donna deve essere qualcosa di bellissimo per un uomo. Sentirsi corrisposti deve essere ancora più bello, ma se questa donna è disposta a fare qualcosa di inconsulto per amore, cosa succede? Come può l’amore conciliarsi con la follia, con l’irrazionalità? Essere uomini eccezionali, che vanno al di là della legge e della norma morale, questo l’ideale di Senta,  protagonista della pellicola di Claude Chabrol.

Una donna affascinante, sensuale, bella, luminosa, ma con un lato oscuro, un lato misterioso che attrae, ma contemporaneamente sconvolge la vita di Philippe, che si lascia travolgere da questo amore, da questa pulsione, dalla pura attrazione fisica, da una forza che lo travolge e non gli lascia il tempo per un ragionamento lucido. Si sono conosciuti grazie alla sorella. In un giorno di primavera, un giorno felice, il giorno delle nozze di Sophie.

Lei era damigella d’onore. Un ruolo importante. E subito è scoccato qualcosa, uno sguardo un discorso abbozzato che era già premonitore di qualcosa di più importante, di qualcosa di travolgente. E così subito si sono amati come se già si conoscessero e fosse stabilito dal destino che dovessero essere una cosa sola. Philippe vive il travaglio di questo rapporto, la sua razionalità viene messa in discussione da una donna che vuole andare oltre, oltre il consentito e che lo travolge in un’avventura che si rivelerà senza uscita. Amore, felicità ma anche follia, una follia lucida, sconvolgente che ha origini nel passato della giovane, in quel non essere amata e nel cercare nel mondo una risposta alle domande che sorgono in lei e che non trovano risposta nelle figure dei genitori.

Chabrol guarda al suo maestro, guarda ad Hitchcock, anche se nel film manca la suspence che caratterizzava le opere del maestro, ma l’intreccio ci colpisce per quel superare la soglia del consentito e toccare con mano le pulsioni della psiche umana. Amore nell’epoca della crisi dei valori, cos’è amore allora? Forse solo una pulsione recondita che cerca il possesso e l’asservimento dell’altro. Cosa è l’amore senza la razionalità e il rispetto non solo dell’amato, ma anche del mondo e delle persone che lo formano, insomma della comunità, se non follia o psicosi?

La pellicola mantiene comunque un suo equilibrio interno, dandoci una fotografia chiara del mondo, o meglio di un microcosmo familiare nella Francia, ma potremmo dire nell’Occidente post-moderno, una fotografia rassicurante che crea riconoscimento ed immedesimazione ma che presenta contemporaneamente dei risvolti inquietanti. Ma non è forse la banalità, la superficialità del male ciò che ci tocca più da vicino e ci spaventa, lasciandoci interdetti di fronte a ciò che accade? Come può Philippe amare Senta e non provare nello stesso momento pietà per la perdizione in cui lei si trova?

E Chabrol riesce a restituirci tutto questo con equilibrio, con tranquillità, facendoci immergere in questa storia e lasciandoci sperduti come il suo protagonista, abbracciando con partecipazione questo mondo che è anche il nostro, queste vite perdute che sono anche le nostre, che cercano la pace nel riconoscimento dell’altro, nell’amore dell’altro, ma che poi si perdono nell’odio banale e istintivo verso una realtà non compresa e per questo intesa come ostile.

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